L’amore come nichilismo

La biochimica conosce la durata dell’amore: massimo 18 mesi. Così scienza e contemporaneità vedono l’amore. Un oggetto di consumo destinato a finire. Sul fatto che l’amore possa finire sono però tutti concordi, è sul fatto che ogni amore debba iniziare per finire che non ci diamo pace. Perché questa visione non lascia dubbi, non lascia vie di scampo o di salvezza. Non propone un “se” ma soltanto un “quando”. L’amore fiammifero da consumare in fretta prima che si arda: un sentimento da fastfood.

La contemporaneità tende a identificare quindi l’amore col “divenire”: questo amore che un tempo non era, adesso è e domani non sarà più. E questo postulato insegue e minaccia sempre l’amore come un infallibile vaticinio. L’amore, quel sentimento fortissimo che ci travolge, un tempo non era e domani non sarà: era nulla prima e sarà nulla dopo. Per l’ennesima volta l’occidente finisce per identificare l’essere col non-essere, il positivo col negativo. L’amore diventa una sorta di stand-by in attesa di una irrevocabile morte: ma l’attesa della fine non è forse peggiore della fine stessa?